Niente colpa medica se la diagnosi è equivoca

Niente colpa medica se la diagnosi è equivoca
26 Giugno 2017: Niente colpa medica se la diagnosi è equivoca 26 Giugno 2017

Per Cass. pen. n. 29053/2017 il quadro diagnostico equivoco e complesso esclude la colpa professionale per imperizia a carico dei sanitari.

IL CASO. Il Tribunale di Salerno aveva condannato per lesioni colpose i componenti di un’équipe chirurgica, i quali avevano eseguito su un paziente una laparotomia, al fine di trattare una sospetta neoplasia intestinale, provocando una “cicatrice xilo pubica cheloide della lunghezza di circa 35 cm”, e ciò nonostante “la evidenza diagnostica e le condizioni del paziente non giustificassero un tale trattamento, il quale invero si era rivelato inutile”.

Per il Giudice di primo grado i sanitari avrebbero dovuto indagare ulteriormente con strumentazione diagnostica la natura della ipotizzata patologia del colon, perché si era in presenza di “elementi diagnostici non univoci e comunque inidonei a giustificare l’opzione chirurgica, tenuto conto che non si verteva in ipotesi di urgenza terapeutica”.

La Corte d’Appello di Salerno, in riforma della suddetta decisione, aveva invece assolto i medici, evidenziando, al contrario, che gli accertamenti eseguiti durante la degenza “non avevano fornito evidenze tali da escludere la indicazione per l’opzione chirurgica nella prospettiva di una neoplasia intestinale”, e che, pertanto, proprio sulla base di tale “equivoco e complesso quadro diagnostico” andava esclusa la ricorrenza di profili di colpa professionale per imperizia a carico dei sanitari.

LA SENTENZA. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di secondo grado, evidenziando come il giudice di appello avesse fatto “corretto uso dei principi che regolano l’accertamento della responsabilità sanitaria nel processo penale” ed, in particolare, avesse giustamente ritenuta ricorrente l’indicazione terapeutica, in presenza di un “quadro contraddittorio, lungamente esplorato, che vedeva la presenza, all’indagine in colonscopia, di una voluminosa neo formazione polipoidea pluricolata con apici ulcerati, la cui definizione organica ed istologica non aveva trovato specifica risposta, a fronte di un paziente che lamentava dolore all’ipocondrio destro e una forte occlusione intestinale”.

Per la Suprema Corte, insomma, ben avevano fatto i medici ad effettuare la laparoscopia, perché “dagli esami compiuti durante otto giorni di degenza del paziente nel reparto di chirurgia d’urgenza non era stata affatto esclusa con certezza una neoplasia” e pertanto l’“equivocità diagnostica” (“formazione strozzata ed ulcerata che aveva la sembianze di massa tumorale”) … avrebbe dovuto comunque essere sciolta”.

La Corte di Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso e confermato l’assoluzione dei medici, perché solo eseguendo la laparatomia quest’ultimi avevano potuto constatare che, fortunatamente, “nessuna formazione era presente in sede e che si era trattato verosimilmente di una invaginazione del colon”.

    

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